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SALAFAR E LE MONETE D'ORO

IMMAGINE DI UN CONTADINO CHE GUARDA IL SOLE



[1]Ascolta la fiaba


In un paese lontano lontano, dove il sole splende sempre alto nel cielo, viveva con la moglie Samàra e il figlio Sefrèm, un povero contadino di nome Salafàr.

Salafàr ogni giorno si alzava prima che spuntasse il sole, e percorreva a piedi la strada per raggiungere i suoi campi: qui lavorava tutto il giorno fino al tramonto, e tornava a casa quando ormai le stelle brillavano nel cielo.

Un giorno come tutti gli altri, Salafàr era da solo nel suo piccolo campo a zappare la terra: il sole era quasi tramontato, ma Salafàr voleva finire il suo lavoro quanto prima possibile. Mentre era intento a smuovere le ultime zolle, qualcosa attrasse la sua attenzione: in mezzo alla terra aveva notato uno strano luccichio. Salafàr, incuriosito, smosse la terra con le mani e quale non fu la sua meraviglia nell'accorgersi che il luccichio proveniva da due grosse monete d'oro!!! Saltando di gioia come un bambino, Salafàr strinse nel pugno le sue preziose monete, lasciò il suo lavoro e decise di tornare a casa.

Percorrendo il sentiero verso casa, Salafàr fantasticava su quello che avrebbe potuto fare con il suo prezioso tesoro: il mattino dopo - pensava - non sarebbe andato nei campi, ma al mercato. Qui avrebbe acquistato un vestito nuovo per Samàra, tante cose buone da mangiare per Sefrèm, e soprattutto un bue ed un aratro per sé. Era talmente preso nei suoi pensieri, che non si accorse di una grossa pietra che bloccava il sentiero nella quale inciampò, perdendo le monete dalla mano. Salafàr si alzò di scatto, e iniziò subito a cercare il suo tesoro, ma purtroppo per lui era una notte senza luna e senza stelle, e il sentiero era troppo buio per sperare di ritrovare le sue monete.

Preso dalla disperazione Salafàr si mise la testa tra le mani e iniziò a piangere come un ragazzino, finché non udì una voce che chiedeva: «Signore, perché piangi e ti disperi?». Salafàr alzò la testa e vide un bambino, il quale, sentita la storia di Salafàr, esclamò: «Oh, non devi preoccuparti signore. Ecco qui, ti regalo il mio di tesoro». E così dicendo, il bambino mise in mano a Salafàr una moneta di stagno e andò via. Salafàr guardò quel piccolo pezzo di metallo arrugginito e, sempre più triste per le sue splendide monete d'oro, se lo mise in tasca senza pensarci e si incamminò verso casa.

Al mattino dopo Salafàr era di nuovo nei campi a zappare la terra e la fatica era tale che quasi non si ricordava più del suo piccolo tesoro perduto; ma, ad un certo punto, la zappa toccò qualcosa di duro sotto la terra e come il giorno prima Salafàr iniziò a scavare con le mani. Stavolta Salafàr aveva trovato un enorme e pesante scrigno, ma la meraviglia lasciò presto il posto alla tristezza: quello scrigno, infatti, nonostante i suoi sforzi, non si lasciava aprire in nessun modo, e già Salafàr iniziava a maledire la sua sfortuna, quando si accorse che sul lato dello scrigno c'era una fessura, grande quanto una monetina, nascosta dalla terra. Fu allora che Salafàr si ricordò delle parole del bambino e della monetina di stagno che gli aveva regalato: subito la estrasse dalla tasca, la infilò nella fessura, e come per magia lo scrigno si aprì da solo rivelando al suo interno, non due, ma centinaia di monete d'oro.

Dunque bambini miei, se un giorno in un sentiero poco illuminato incontrerete un vecchio che vi offre una monetina di stagno, ricordatevi di Salafàr e mi raccomando non la rifiutate: da qualche parte, in qualche luogo nascosto, vi aspetta uno scrigno pieno di monete d'oro.





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